venerdì 9 gennaio 2009

Al di là della conferma visiva cap. 1

Riprendiamo la pubblicazione del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis, “Al di là della conferma visiva”.
Questo testo lo riteniamo molto utile non solo per gli addetti ai lavori, ma può essere un valido supporto anche per tutti coloro che si avvicinano per la prima volta ai problemi relativi all’integrazione scolastica dei bambini con disturbi visivi.

CAPITOLO PRIMO
La padronanza dello schema corporeo


Durante la crescita il bambino matura il concetto di schema corporeo, concetto che si evolve con lo sviluppo di tutte le funzioni fisiologiche e cognitive in relazione al suo inserimento ambientale e culturale.
Con la consapevolezza della propria strutturazione fisica e funzionale, il ragazzo prende atto delle proprie potenzialità vitali, creative e di relazione.
Nel ragazzo non vedente, o con minorazioni intellettive o motorie, la capacità di relazione spaziale, fisica, con oggetti, ambienti e persone, può essere gravemente limitata se fin dai primi annidi vita, egli non è stimolato a ricercare il rapporto e la familiarità con l'ambiente e con tutto ciò che esso contiene.
Ovviamente, nella prima infanzia le abilità di relazione verranno estese innanzitutto alle persone della famiglia, e prima ancora, al rapporto con la madre - primo ambito in cui la creatura deve riuscire a differenziarsi identificandosi come persona dotata di caratteristiche proprie – e, di seguito, agli oggetti di prima necessità. Gradualmente verranno acquisite le prime relazioni d'uso dello spazio, dunque una prima conoscenza di questo, unita a una prima evoluzione strettamente funzionale (mangiare, vestirsi, spostarsi, soprattutto in ambienti ristretti, camminare, lavarsi, giocare) che, nel caso del bimbo non vedente, è prevalentemente tattile. Contemporaneamente si svilupperanno le abilità di relazione, ovvero le capacità di graduale acquisizione di autonomia affettiva, meglio definibile come capacità di organizzarsi nello spazio e nel tempo, controllando sempre meglio le tensioni affettive, in modo da razionalizzare il modo di vivere se stessi e l'ambiente.
Con l'inserimento scolastico e il primo approccio con la lettura e la scrittura1, il fanciullo tende a concentrare la sua capacità di percezione nell'acquisizione delle abilità di decodificazione e di produzione di testi scritti. Egli è spesso profondamente appagato dall'interesse culturale che gli offre la scuola, unitamente a quanto gli viene dalle relazioni personali con i compagni. Egli ormai conosce e sa usare lo spazio strettamente indispensabile a vivere e ad avere le relazioni affettive essenziali, e soprattutto è padrone dei primi indispensabili mezzi per imparare, comunicare, arricchirsi spiritualmente e creare.
Nel ragazzo non vedente, tutto ciò che finora ha acquisito, a parte la conoscenza superficiale dell'oggetto, gli è stato trasmesso oralmente; così è, per esempio, per l'esperienza corporea di benessere o di malessere, dello stare fermi o dell’essere in movimento, del ripercorrere un itinerario conosciuto da soli, o l'esperienza interiore d'esser lieti o tristi, in presenza di estranei o d'amici. Tutto ciò che generalmente viene appreso per trasmissione visiva, il ragazzo cieco o ipovedente, lo deve imparare attraverso gli altri sensi, e in parte attraverso la descrizione orale degli educatori, dei coetanei e, talvolta, dall'intervento casuale di estranei. Ciò che viene riportato, però, ha la caratteristica di essere filtrato, interpretato da altri: non può essere perciò trasmesso né appreso in
modo veramente oggettivo o, più precisamente, personale.
Anche in presenza di minorazioni intellettive o motorie, e dunque in tutti quei casi in cui la percezione è limitata - sia per insufficienza di capacità decodificative, mnestiche o logiche, sia per un'effettiva riduzione della potenzialità motoria alla quale consegue una ridotta esperienza di movimento - il bambino non può raggiungere coi soli mezzi di cui è dotato, la qualità cognitiva dei coetanei. Parleremo più a fondo di questi specifici casi, affrontando l’argomento della concezione spaziale.

Durante l'adolescenza l'individuo ricerca, spesso con grandi crisi, la definizione della propria personalità. In tal senso, dunque, e come ho già detto in premessa, credo che la scuola media debba fornire gli strumenti e rendere noti i mezzi che possano permettere un'adeguata ricerca di se stessi e della propria identità umana e sociale.
Il ragazzo non vedente, più di altri, potrà sentirsi oppresso dalla dipendenza altrui, e comunque vorrà sentirsi, almeno quanto i suoi coetanei, "grande", adulto, libero di esprimersi secondo la propria natura; non è più totalmente appagato dalle amicizie e dalle tantissime cose da imparare: vuole essere padrone di se stesso. E' in questa fase dell'evoluzione che si ripresenta, con urgenza e prepotenza, la necessità di saper gestire la propria corporeità e l'ambiente.
Credo di essere sulla buona strada per comprendere a fondo questo nuovo momento della crescita, affermando che, in esso, il giovane non vedente, se vuole fare un salto qualitativo di autonomia culturale e d'integrazione all'ambiente, deve rimettere in discussione tutto il prprio precedente concetto di spazio.
Nel bambino vedente, il passaggio dalla sensazione propriocettiva alla sensazione esterocettiva avviene spontaneamente e direttamente quando, attraverso i sensi, egli acquisisce òa consapevolezza di percepire e di appartenere al mondo esterno. La vista, nella formazione di questo concetto, è il mezzo che permette l'immediato riscontro delle sensazioni corporali, psicologiche, nervose e anatomiche, a prescindere dalla volontà personale di operare detto riscontro, o dal livello di coscienza individuale: "Il corpo è uno spazio privilegiato percepito dall'interno", dice André Lapierre2 "e che, poco a poco, si organizza e si struttura in rapporto al proprio asse […]. Poi potrà proiettarsi all'esterno. Sarà allora possibile situare gli oggetti in rapporto a sé, in riferimento al proprio corpo, e in un secondo tempo ci si potrà situare in rapporto agli oggetti. Solo dopo aver consolidato queste due tappe il bambino sarà capace di organizzare il mondo all'esterno di se stesso, cioè di situare gli oggetti, gli uni in rapporto agli altri, ma con un punto di riferimento sempre implicito e più o meno cosciente nel suo proprio spazio corporeo".
In assenza del senso della vista, quali saranno le modalità e i tempi di formazione del concetto di corpo, inteso come organismo che percepisce se stesso nella sua proiezione esterna, e quindi quale organismo integrato e integrantesi ad un ambito al di là di se stesso? Fino a che punto potranno essere d'aiuto la spiegazione e le esemplificazioni trasmesse oralmente? E fin dove la verbalità sarà significativa ed interiormente convincente nell'esempliflcazione? Quale valore potranno avere i termini relativi allo spazio, al movimento e alla relazione della forma con lo spazio che la contiene?
II ragazzo non vedente è legato, ancor più che i suoi compagni, a quel punto di riferimento implicitamente contenuto nel proprio spazio corporeo; ne ha fatto ottimo uso, infatti, per acquisire la padronanza della propria percezione tattile, la lettura e la scrittura in Braille, nonché una postura corretta in rapporto a se stesso e in relazione all'ambito interpersonale minimo per la vita di tutti i giorni. Io credo vi faccia appello ogni volta che gli si pone la necessità di riorganizzare il proprio spazio, foss'anche solo nel cambio d’ora delle lezioni o nel cambio d'attività o d'interlocutore.
Ecco, è a questo punto che mi chiedo quando e come, nel giovane non vedente inizia a formarsi la considerazione dell'oggetto quale ente che ha una propria struttura, con punti di riferimento al di fuori dello spazio corporeo umano, e in ogni caso indipendenti da qualsiasi fatto estrinseco a quelle che sono le sue caratteristiche "proprie", di materia, di proporzione e di relazione mutua con altri oggetti.
E mi chiedo anche come, in assenza di un'adeguata educazione "spaziale", intesa come un’educazione al movimento guidato, corredata del lessico specifico e affiancata dall'immediato riscontro tattile-cinestesico (di postura, movimento, consistenza fisica e dimensionale dell’oggetto e dello spazio), l'individuo potrebbe formarsi un reale concetto di spazio, di tempo - e perciò di movimento - soprattutto al di fuori del proprio ambito corporeo.

Non so se ho reso l'idea, ma volendo concludere la riflessione sul primo requisito, definirei sinteticamente quanto discusso, così: per piena e profonda padronanza dello schema corporeo intendo la capacità di organizzazione spazio-temporale, non più condizionata dalle qualità intrinseche di un oggetto, bensì estesa al più vasto mondo delle relazioni tra gli oggetti. Tra essi è incluso anche il proprio stesso corpo visto quale oggetto in movimento - o comunque in relazione spaziale con uno o più altri oggetti – e visto come ente dimensionale in relazione di proporzione con questi - cioè in rapporto con lo spazio che lo contiene.

La pubblicazione dei prossimi capitoli verrà effettuata con cadenza settimanale.
Se lo ritenete sono graditi vostri commenti.

Per informazioni:
info@centrocresci.it
oppure:
luiscer@tiscali.it
1 Nel caso specifico del ragazzo ipo o non vedente, le capacità di percezione e di decodificazione si affineranno anche nell’uso del tatto, con il codice Braille.
2 Cfr. André Lapierre, Il concetto di psicomotricità e la sua evoluzione, Madrid, 1976.

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