lunedì 20 aprile 2009

Al di là della conferma visiva - cap. 6

Questo è l’ultimo capitolo del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis “Al di là della conferma visiva”.

CAPITOLO SESTO

La fruizione dei patrimoni artistici da parte dei non vedenti: la pittura

Nell’introduzione a questo libro, manifestavo la volontà di estendere la possibilità di espressione artistica del non vedente al movimento creativo e alla fruizione dello spazio in modo più autonomo e diretto. Spero, attraverso le riflessioni e le esperienze che ho mano a mano raccontato, di aver aperto qualche nuovo spiraglio a chi si occupa dell’educazione dei ragazzi in situazione di ipovisione o di cecità, nonché a tutti quelli che si dedicano ai giovani in situazioni di svantaggio. In questo capitolo, parlerò invece di una delle espressioni artistiche meno accessibili a chi non dispone del senso della vista – la pittura figurativa – e, sinteticamente dell’ultimo lavoro di sperimentazione che, a tal riguardo, ho portato avanti per le cui specifiche complessità ed i molti elaborati che comprende, rimando ad un’altra eventuale pubblicazione.
Un’opera pittorica pone, per un’infinità di motivi,barriere assai impervie per un non vedente. La prima è d’ordine fisico: anche indagando con la mano una tavola dipinta, infatti, non si può dedurne alcuna informazione su quanto vi è rappresentato. Ciò è dovuto al fatto che la pittura riporta una realtà tridimensionale su di una realtà bidimensionale: una tavola, un foglio da disegno, una tela, una parete…Le altre barriere sono d’ordine squisitamente sensoriale e dunque oltremodo difficili da superare: la realtà vissuta a livello tattile, e perciò con la modalità percettiva più consona alla persona non vedente, è molto diversa dalla realtà vissuta a livello visivo e l’opera pittorica figurativa la interpreta cosi come il nostro occhio la percepisce.
Come ho gia detto nei capitoli precedenti, la realtà visiva è una realtà deformata, il cui messaggio diventa fedele, qualitativamente e dimensionalmente, solo grazie all’esperienza differita e rielaborata a livello mentale. La deformazione prospettica, le informazione date dal chiaroscuro, le infinite possibilità di sovrapporre più volumi su un unico piano, sono infatti la sintesi delle nostre esperienze pregresse visive, motorie e cinestesiche e non fruibili da chi non dispone di un patrimonio sensoriale che comprenda anche la percezione visiva.
Un anno fa fui invitata dal presidente dell’U.N.I.Vo.C. di Vercelli, Luigi Cerruti, a progettare una modalità di presentazione di alcune opere pittoriche custodie al Museo Borgogna della medesima città , affinché esse potessero essere fruite dai non vedenti. L’idea mi piacque, ma la consapevolezza nei riguardi del profondo divario tra le percezione visiva e tattile, mi portarono in un primo tempo, a considerare la semplice realizzazione della descrizione in prosa delle opere scelte. Strada facendo, però, proposi a Luigi Cerreti e a sua moglie Paola Vaccino, entrambi non vedenti dall’età giovanile, uno schema in rilievo di una delle opere selezionate. Ne furono entusiasti e mi proposero di tentare “qualcosa di più” per realizzare il Catalogo per Non Vedenti della Pinacoteca Borgogna.
Iniziai così a lavorare sulla rappresentazione tattile di alcune tavole pittoriche e individuali una serie di operazioni che potevano essere effettuate sulla rappresentazione visiva, in modo da renderla fruibile, almeno in parte, sul piano tattile. Le sovrapposizioni dei volumi, per prima cosa, dovevano essere riorganizzate e, dove possibile, eliminate; i chiaroscuri andavano trascurati e le deformazioni prospettiche ridotte il più possibile: il tutto a favore di una maggior chiarezza didascalica e di una maggiore fedeltà alle rappresentazioni volumetriche e posizionali dei soggetti, anziché alla loro interpretazione pittorica. Ottenni così un prodotto che poteva essere goduto anche da chi fosse dotato di un patrimonio percettivo prettamente tattile e perciò adatto a decodificare corretti messaggi plastici, con o senza l’ausilio della vista.
Per diversi mesi ho lavorato a questo studio, appoggiandomi al Centro Regionale di Documentazione Non Vedenti di Torino: lì ho potuto realizzare, con il prezioso aiuto della signora Anna Lodi, e tavole tattili relative alla rielaborazione delle opere scelte, e, per tentativi successivi, giungere ad un prodotto che, proposto ad un certo numero di utenti non vedenti, si è rivelato non soddisfacente.
Il primo Catalogo per Non Vedenti della Pinacoteca Borgogna, costituito da dodici descrizioni in prosa e relative tavole in rilievo; relazioni di motivazione delle scelte operate per la sua realizzazione; istruzioni d’uso; verrà presentato al pubblico entro la fine dell’anno 2001 ed io mi auguro che possa aiutare il mondo dell’arte ad aprirsi al più vasto pubblico di chi dispone di un corredo sensoriale così peculiare come quello dei ciechi .
Mi auguro che il carattere sperimentale di questo lavoro sia il presupposto per osservarlo nei suoi pregi e nei suoi limiti, con semplicità, poiché è l’espressione di una sincera volontà di ricerca e di innovazione delle strutture culturali del nostro paese che si rivolgono sempre più spesso e più costruttivamente ad un pubblico all’interno dl quale non devono essere presenti discriminazioni di alcun genere.

Con l’auspicio che la lettura e lo studio di questo testo sia stato di beneficio a molti, vi invitiamo a lasciare i vostri commenti, oppure iniziare una discussione nel Forum dell’ Unione italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti all’indirizzo:
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martedì 7 aprile 2009

Aldilà della conferma visiva - cap. 5

Ecco il Capitolo quinto del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis: “Al di là della conferma visiva”.

CAPITOLO QUINTO

Avvio ad una concezione creativa, plastico-cinestesica, dello spazio


Nel presentare questo lavoro, introducevo la problematica della strumentazione nell'attività artistica, con una frase di Irene Prat, mia insegnante di artistica dal 1963 al 1966 ed in seguito cara consigliera ed amica, la quale insisteva nel ricordarmi che" quel qualcosa"prima o poi sarei riuscita ad esprimerlo, in modo soddisfacente per me, forse proprio il giorno che, scoraggiata, avrei usato senza più remore lo strumento. E in quel frangente mi raccontava di quando, un giorno della sua giovinezza, riuscì lei stessa ad esprimersi "come sentiva". Esattamente come aveva previsto Felice Casorati, suo maestro.
Uno strumento molto semplice è spesso più che sufficiente. L'essenziale è che sia congeniale a chi lo usa.
In un non vedente, in modo particolare, può essere consigliabile l'uso di un unico strumento, scelto con cura da allievo e maestro, relativamente alle esigenze espressive del discente. Questo per permetterne un uso talmente sciolto e spontaneo da renderlo un tutt'uno con il corpo dell'artista.
Là dove il fine è l'interpretazione espressiva, diretta, della realtà, l'artista non può e non deve essere condizionato da strumenti estranei alla propria corporeità. L'acquisizione della totale padronanza di uno strumento, infatti, equivale all'uso di una parte corporale direttamente coinvolta nell'espressione artistica: ne sono un esempio la pittura con le dita e la danza.
L'espressione è il riflesso simultaneo di una percezione, o l'atto che la interpreta facendola rivivere nello spazio e nel tempo. Uno strumento, uno solo, ma usato con maestria, limita la dispersività e concentra ogni qualità intellettiva ed espressiva sull'intenzione di filtrare la realtà attraverso la propria sensibilità e la propria modalità di percezione.
L'arte è la sintesi di un'interpretazione soggettiva del mondo, della vita, dove la decodificazione delle sensazioni propriocettive ed emotive, viene resa esplicita da un "prodotto" fruibile anche dagli altri, ma essenzialmente fedele all'esigenza espressiva dell'artista:
un'astrazione, dunque, di ciò che è soggettivo in qualcosa di più universale, espresso in forma analogica, per lo più,o prassica.
Una volta acquisita una concezione spaziale convincente, altamente ponderata, consapevole e ben ancorata al proprio modo d'essere e d'intendere la realtà, ci si potrà avviare fiduciosamente allo studio formale dello spazio e impostarne una rielaborazione creativa, prima, e una ideazione originale in seguito, lavorando sempre, profondamente, sul proprio sistema percettivo: su se stessi dunque, e sul rapporto che si ha con l'ambiente.
L'arte deriva proprio da questo rapporto, dalla sintesi di più funzioni mutuamente inscindibili, discendenti da informazioni sensoriali che nascono già condizionate, fuse intimamente fra di loro, a dispetto delle diverse canalizzazioni a livello recettivo.
Ma come l'acquisizione della totale padronanza di uno strumento equivale all'uso di una parte corporea, sicuramente l'acquisizione dell'assoluto controllo posturale, permetterà l'uso della corporeità come mezzo espressivo, sia che l'obiettivo si realizzi in un movimento libero, finalizzato al suo stesso evolversi, come la danza e la mimica, sia che si realizzi in un movimento creativo, finalizzato ad una produzione "esterna" al proprio spazio corporeo, come sostanza e come forma, come la scultura o un'altra qualsivoglia ricostruzione plastica.
E' così che la corporeità si fa strumento della volontà espressiva, ne asseconda l'inclinazione e le inferisce concretezza. Dunque, da
tramite di un fatto creativo, diventa essa stessa arte.
Nella ricerca delle peculiarità della forma spaziale, ho cercato di definire "la strada" che è necessario indicare ad un giovane in
formazione, per incanalare la sua innata curiosità, o voglia di conoscere, e la sua naturale predisposizione a "cercare risposte" tramite
l'uso del canale tattile-cinestesico, prevalentemente, nella ricerca delle linee essenziali e significative che definiscono la geometria di uno spazio attraverso la "metafora" del movimento corporeo.
Nell'avvio ad una concezione spaziale creativa, sempre extra-visiva, propongo l'operazione reciproca di questa. Parto dalle linee essenziali di una forma, sforzandomi di sintetizzarle, interpretando con la massima sincerità possibile l'immagine mentale che ho di questa.
La modellazione plastica parte dalla necessità di creare o di esprimere un'armonia di rapporti formali, dunque ancora attraverso il movimento, non "a perdere", questa volta, ma teso a ricostruire in modo personale e perciò anche eventualmente a modificare le
relazioni intrinseche di una forma, si compie l'atto creativo-espressivo. Atto che, nel caso specifico del non vedente e di chi desidera una verifica formale "al di là della conferma visiva", attinge sensibilità e finalità dall'esperienza tattile , e riesce a ricomporsi "in volume", grazie alla consapevolezza cinestesica dell'artista. Più profondamente, si avvale della capacità di questi, ad operare una valida introspezione a livello sottile, a scavare perciò nella propria essenza, nella propria esperienza, nel proprio modo di interpretare la realtà spaziale, formale, psicologica e percettiva. A cogliere dunque ciò che è l'essenziale d'un vissuto, per il proprio modo di ascoltare, collegare, ricordare.
E tanto più la forma interpretata si discosterà dalla sua stereotipata definizione, tanto più, presumibilmente, l'artista avrà seguito la sua
valutazione personale della realtà, che sarà sicuramente condivisa da, chi possiede il suo stesso patrimonio sensoriale.

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